perchè dipingere oggi?

Attualmente la pittura sembra in crisi, come la maggior parte delle attività intellettuali-creative dell’umano.

I grandi progressi della pittura del 900 avrebbero dovuto dare un impulso ancora più forte alla pratica di questa arte, invece ci ritroviamo in una situazione di ignoranza forse mai sperimentata, in cui si sta perdendo ogni strumento di giudizio.

Una delle ragioni di questo stato di cose è la perdita dei punti di riferimento che definiscono questa espressione artistica, sopraggiunta in seguito alla contaminazione e alla conseguente confusione dei vari mezzi espressivi. Ora un discorso sulla pittura deve necessariamente tenere conto della sua storia.

Osserviamo sgomenti che la pittura non viene più insegnata. In effetti nella scuola secondaria non è mai stata insegnata, a motivo della struttura stessa che prevede maestri con un campo di sapere allargato, piuttosto che specifico, ma attualmente non esiste un luogo in cui imparare a dipingere nemmeno dopo l’istruzione obbligatoria. Né i licei artistici né le accademie di belle arti svolgono più questa funzione, piuttosto si occupano di dare una preparazione artistica in senso esteso.

Questo fatto dovrebbe destare il massimo interesse, soprattutto fra i pittori, infatti l’unico modo per  trasmettere la conoscenza di questo mezzo espressivo sembrerebbe al momento lasciato alla responsabilità di chi lo possiede già, del pittore. Questo però, non è conciliabile con l’autoaffermazione personale da cui il mondo della pittura è stato ultimamente sommerso, alla stregua di un qualsiasi altro campo di attività umano. Al contrario una diffusione del sapere pittorico è possibile unicamente attraverso un incremento del senso di collaborazione.

Assistiamo a un progressivo scemare dell’interesse verso la tecnica pittorica, si va sostituendo a questo l’illusione più o meno dichiarata di poter fare a meno della tecnica: qualsiasi mezzo sarebbe uguale ai fini dell’espressione, e l’espressione di sé diviene il massimo valore. La pittura perde così il suo senso di linguaggio, diviene un gergo del tutto arbitrario e per lo più comprensibile solo a chi parla e ai pochi eletti che lo usano per convenienza. Nella storia però i pittori non hanno dipinto per esprimere sé stessi ma per una “ricerca”, per andare verso “altro”. Ritengo che i grandi pittori dipingessero tutti sospinti da una forte energia vitale, che li tirava verso il “fuori” e verso “l’alto”, verso “l’altrove”.

Quello che ha fatto e fa il pittore è sfidare la realtà visibile, estorcere ad essa i suoi significati occulti, come un vero ricercatore. Nella ricerca spesso i pittori si sono alleati fra loro, riconoscendo le diversità ma anche la stessa meta e appunto su questa, come identità comune, venivano stabilite le alleanze. Mi pare che nella pittura moderna si sia chiarito un concetto basilare: la pittura, prodotto dell’anima, serve all’anima e solo in questo senso si può stabilire un criterio di valutazione.

L’estetica che ne deriva, non più subordinata a canoni predefiniti sembra per un certo verso relativizzarsi: un’opera non è bella se è fatta bene ma se fa bene, se è capace di destare la sensibilità di chi osserva. Inoltre solo chi è iniziato personalmente all’arte dell’osservare può apprezzare la ricerca del pittore: egli non cerca di piacere, addirittura preferisce che la sua opera appaia brutta o insensata piuttosto che rinnegare la propria ricerca, che diventa così l’unica sua fede.

Esiste però un risvolto non troppo nobile in questo stato di cose, del quale si deve tener conto onestamente se non si vuole cadere nell’ingenuità: anche lo scandalo può divenire un inconscio ammiccamento,  pretesto per notorietà, soprattutto in un tempo in cui il pittore appare ritornato al proprio isolamento. La ricerca del pittore non può essere ridotta alla semplice libertà di espressione di sé stesso, ma è qualcosa che trascende il soggetto e si allarga verso il fuori e l’oltre. Nel caso in cui ciò non accade la pittura, da linguaggio dialogico e fecondo diventa sterile monologo, non convince più nessuno, non parla più, diventa noiosa per chi la crea e per chi la guarda.

Riguardo alla situazione asfittica in cui si trova la pittura già da qualche tempo, dal mio punto di vista di pittrice non posso non notare una responsabilità di pittori allettati da un facile guadagno, che per questo accettano troppi compromessi. Mi riferisco soprattutto a quelli che, confondendo il proprio operare con quello di un qualsiasi altro artista “concettuale”, hanno consegnato la pittura nelle mani dei dilettanti. Questa è una delle ragioni per cui assistiamo alla perdita di valore del dipingere in sè, come ricerca nobile e valida alla pari di altre, e al conseguente regnare del cattivo gusto comune. Gusto dettato ormai solo da pittori dilettanti.

Per contro, l‘arte concettuale si può considerare a pieno titolo l’arte borghese del nostro tempo, la campagna di propaganda di questa ad opera di critici e galleristi è stata tale da convincere sia il pittore che il pubblico sprovveduti. Serpeggia fra i pittori un inquietante senso di colpa  per il “semplice” dipingere, considerato come un trastullo di dilettanti. Credo sia indispensabile a questo punto un chiarimento:  cosa è, e cosa non è,  la pittura, una sottolineatura delle differenze dei vari mezzi specifici delle arti figurative.

La crisi attuale della pittura è dunque in gran parte addebitabile alla perdita dei punti di riferimento che definiscono la specificità della pittura come espressione artistica, sopraggiunta in seguito alla contaminazione e alla conseguente confusione dei vari mezzi espressivi. I grandi progressi dei pittori del 900, che avrebbero dovuto dare un impulso ancora più forte alla pratica della pittura, sembrano essere sfociati in una situazione di ignoranza mai sperimentata, in cui si è andato perdendo ogni strumento di giudizio. Un discorso onesto sulla pittura deve necessariamente tenere conto della sua storia.

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