Guardare-osservare-vedere: la Pittura ha tre fasi

Dipingere. Verso una purificazione dell’occhio.

Considerato che l’occhio risulta come imprigionato nello stereotipo, per difetto personale e sociale, possiamo immaginare un cammino per la sua liberazione in tre fasi, tre gradini in salita.

Un cammino che procede dal particolare all’insieme, dalla credenza soggettiva a una verità condivisa, dalla chiusura all’apertura. Dalla limitazione all’illimitato, dal confine allo sconfinato.

Questo cammino, che è una conoscenza, necessita di una disciplina che si potrebbe riassumere in queste tre fasi successive.

PRIMO: I SENSI.

 La percezione della bellezza, cioè della luce.

La realtà, o “il vero”, contiene in sé una bellezza non sempre visibile a tutti. Per coglierla è necessaria in primo luogo una sensibilità che vi corrisponda, che poi deve essere affinata con l’esercizio.

L’oggetto appare ai nostri occhi secondo la luce che lo illumina, come un fatto speciale e irripetibile.

Lo sguardo ne scruta la particolarità, a questo stadio viene naturalmente attratto dal dettaglio e  facilmente si perde in esso.

È come essere davanti a una forte luce, ci si sente frastornati all’ inizio, può perfino apparire tutto buio. Poi pian piano si iniziano a vedere i colori, le forme.

Nella storia della pittura questo è avvenuto in maniera eclatante, perfino a livello di gruppo, con gli “impressionisti”. In particolare si consideri la loro abitudine di rimanere fedeli al tempo, alla luce del momento: si dice che Monet portasse ogni volta con sè molte tele iniziate nei diversi momenti della giornata.

Questa fase richiede dunque una fedeltà particolare all’ oggetto e alla luce. La ricerca  è tutta rivolta all’ esattezza della riproduzione. È giusto che sia così, perché il primo momento di un dialogo è sempre l’ascolto, e si può bene immaginare che tra l’artista e la realtà debba avvenire qualcosa di simile a un dialogo.

SECONDO: LA RAGIONE.

 La razionalizzazione della luce.

Qui entra in gioco la cultura: l’apprendimento della materia, attraverso la tecnica, la storia e l’esercizio costante. Specificatamente nella pittura lo scopo diventa la ricerca dell’insieme, il “tutto”, l’armonia delle parti.

La percezione del vero viene filtrata attraverso una visione personale, e questo, se da un lato sembra diminuirla in oggettività, dall’altro la accresce in profondità, la rende sostanziale e pregnante.

Lo sguardo esce completamente da quel primo senso di abbagliamento, perché viene in un certo senso “guidato”, dalla sensibilità personale.

L’oggetto diventa interessante per un motivo personale, oltre che generale e questo diventa un po’ come la prova del nove per comprendere se la scelta iniziale del soggetto era giusta o sbagliata.

Questa è la fase del discernimento, della crisi, cioè della separazione fra ciò che conta e ciò che non conta, il momento in cui diventa necessario togliere piuttosto che aggiungere.

La ricerca della armonia rende necessario il sacrificio di tutti i dettagli che non servono all’insieme: Matisse ha mostrato chiaramente questo grado di consapevolezza per esempio con le sue ardite semplificazioni.

TERZO: L’ANIMA.

 La trasfigurazione della luce.

La realtà, osservata con amore e corrisposta da una lettura precisa e personale, si trasfigura, cambia aspetto, rimanda a qualcosa di altro, completamente inedito, insospettabile.

Così si può dipingere lo stesso soggetto anche tutta la vita, creando sempre qualcosa di nuovo. Esempio di artisti illustri che sono giunti a questo stadio: Monet, particolarmente con le ninfee, e Cezanne.

Ciò che rende possibile una esperienza tanto straordinaria è la luce, e la nostra risposta ad essa. La luce infatti possiede una proprietà creativa in sé, che è in grado di cambiare completamente il senso dell’oggetto, visibilmente, di trasformarlo.

Questo tipo di visione, personale, ha la capacità di coinvolgere gli altri a un livello molto più profondo rispetto ai gradini precedenti. Il cammino appena descritto si deve intendere proprio come un avanzamento nel linguaggio, di conseguenza l’espressione tenderà a diventare più comprensibile e coinvolgente per gli altri.

Certo per comprensibile non si deve intendere “facile”, ma l’idea che l’arte più evoluta sia necessariamente oscura ai più è infondata e infantile. Pensare che l’arte non venga compresa per una mancanza addebitabile al pubblico è un facile escamotage per sfuggire il problema. Il mito dell’artista incompreso non dovrebbe convincere in primo luogo l’artista. Così come l’opinione diffusa, che gli fa da specchio, che l’arte sia prerogativa di pochi e non potenzialità di ognuno. Questi due problemi sono certamente collegati l’uno all’ altro e diventa sempre più urgente una loro risoluzione positiva.

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